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In canoa da Verona al mare, dedicata a Renzo

Un breve racconto che vorrei dedicare all’”anziano” del viaggio, Renzo, un prode che a settantotto anni compiuti e con un’operazione subita da pochi mesi, si è imbarcato – letteralmente – in quest’avventura...

Un breve racconto che vorrei dedicare all’”anziano” del viaggio, Renzo, un prode che a settantotto anni compiuti e con un’operazione subita da pochi mesi, si è imbarcato – letteralmente – in quest’avventura.

Tutto nasce nella sede del SASS Canoa Club del Chievo, o meglio ad una delle sue cene sociali. Si parla come al solito di vecchie avventure, di percorsi difficili come di altre gite facili adatte alle famiglie. Sentendo un racconto “datato” propongo di ripetere l’esperienza. Parlo della discesa in canoa indiana, una delle specialità preferite dalla maggioranza dei soci, da Verona al mare, passando per la provincia di Verona, quella di Rovigo, il canal Bianco, ed infine l’arrivo in laguna passando davanti a Chioggia e raggiungendo l’oasi Lipu di Cà Roman.

Vengo preso sul serio da una minoranza degli oltre quaranta presenti. Ed inizia subito l’iscrizione. Sei, sette persone subito, diventano undici nei giorni seguenti. Si fa una prima riunione in sede per stabilire i tempi, i contatti per le soste - intese come cene e pernottamenti - e l’attrezzatura necessaria per il viaggio, stimato in tre giorni di discesa più due di riposo all’arrivo in Oasi.

 Si parte in giugno, la domenica mattina da Zevio. Un primo problema, non preventivato negli aiuti cartografici avuti dagli amici Scout di Peschiera del Garda (che ringraziamo), riguarda l’immissione in Adige di canoe e vettovagliamenti. Infatti nel paese sono stati chiusi gli ingressi carrai al lungofiume per impedire che in orari notturni avvengano attività illegali legate allo spaccio e alla prostituzione. Fatichiamo non poco, e con più viaggi i sette rimasti nella lista degli iscritti, prendono il largo.

 Pagaie, pagaie di riserva, tende igloo, sacchi a pelo, e tanta voglia di vivere un’esperienza nella natura, oltre alla curiosità infantile di vedere dove passa e finisce il corso d’acqua che permette alla nostra splendida città di esistere. E, non lo nascondiamo, il poterlo confrontare con i racconti di chi a metà degli anni ottanta aveva fatto questo tragitto.

 Ci allontaniamo, salutati come se non ci dovessimo rivedere mai più, da qualche moglie e amico. L’Adige si presenta subito ricco di acque ben distribuite su una larga superficie, le sponde hanno acqua bassa poche decine di centimetri, motivo per il quale andiamo verso il centro, evitando tronchi secchi lasciati da precedenti piene. La portata, lo capiamo dalla corrente piuttosto forte, è eccezionale per il periodo. Infatti abbiamo avuto alcuni temporali nei giorni precedenti la partenza.

Subito qualche salto e spruzzo d’acqua. Ma siamo un gruppo di navigati, i più anziani con trent’anni di esperienza, i più giovani con cinque – sei, esattamente il numero delle edizioni di quest’anno alla Terra dei Forti che abbiamo frequentato come gruppo non agonistico di canoa indiana.

Abbiamo in acqua tre canoe di misure e tipologia differenti: una, quella usata da me e Vanni, è la copia fedele della classica canoa indiana, proveniente dallo stampo che un socio del club ha portato più di vent’anni fa dal Canada dopo averla costruita con il popolo degli indiani Algonchini in corteccia di betulla americana.

 Nel kajak biposto il quasi ottantenne Renzo – chiudendo il terzetto dei provenienti da S. Massimo all’Adige, pagaia con Paolo di ponte Crescano. Chiudono la carovana con la canoa cinque posti indiana per trasporti eccezionali l’ex direttore postale Ruggero, il professor Piero, e il Caprinese Sergio.

I tre equipaggi arrivano dopo un percorso tranquillo a S. Vito di Legnago, prima tappa con cena in agriturismo e pernottamento dei giovani in tre tende sull’argine a guardia delle canoe, mentre due camere ospitano i tre “ vecchietti” in un meritato sonno ristoratore.

In due giorni e mezzo abbiamo vissuto alcune avventure che rimarranno impresse nei nostri ricordi come l’essere affiancati a metà pomeriggio da un piccolo motoscafo, e dopo uno scambio di saluti e intenzioni, essere invitati ad una festa privata di compleanno su una chiatta ormeggiata, un brindisi fatto con birra artigianale, accompagnata da un rinfresco offerto con il cuore ed infine dagli auguri fatti dal festeggiato a noi per il nostro viaggio.

 Come ci insegna la letteratura fantasy del genere inaugurato da J.R.R.Tolkien, il viaggio prende la forma di un’introspezione. Non più le canoe al mare, ma noi dalla vita abituale a quella avventurosa, il nostro io dalle certezze all‘ ignoto, in un viaggio per arricchirci di esperienze e di domande e risposte, il tutto permesso dalla calma e dalla serenità presenti nel gruppo.

Tutti si aprono a racconti sui più svariati argomenti, consci dell’unicità della nostra occasione di viaggio. La stanchezza fisica fa cadere delle barriere invisibili e ci troviamo uniti in un’esperienza di vita, diciotto ore al giorno, cinque giorni di seguito. Capita spesso che gli equipaggi si cambino di posto o tra di loro, senza particolari motivi, se non la volontà di essere presenti e comunicare con tutti.

 Ogni sosta per riposare e fare una merenda è occasione di battute, è capitato che in pochi minuti Piero abbia stupito tutti addormentandosi e svegliandosi riposato, abbiamo anche visitato velocemente il centro dei paesi limitrofi lasciando sempre un paio di noi a sentinella delle canoe, rompendo la routine per mettere il naso oltre l’argine. I pranzi al sacco sono stati consumati con serenità e spesso ci siamo trovati a parlare del nostro fiume, di come apparisse in buone condizioni, seppure con qualche bottiglia di plastica prontamente recuperata con agili manovre da chi di noi si trovava nelle vicinanze.

 Io e Vanni avevamo destinato un sacco nero a questo scopo, derisi all’inizio dagli altri, i quali si rendevano conto dell’utopia. Ma il gesto era diventato tanto familiare da sembrare uno dei nostri scopi nel viaggio…togliere le immondizie per rendere il fiume ancora più speciale ai nostri occhi e a quelli di tutti quelli che lo avrebbero visto.

Bottiglie ed altri scarti non biodegradabili finiscono infatti in Adriatico se non si arenano prima sugli argini, deturpando un ambiente naturale ricco di zone di ripopolamento di uccelli come il germano reale e l’airone cenerino, visibili già dai nostri parchi nord e sud dell’Adige. In più avvicinandoci al mare si sono viste le specie tipiche della laguna come i gabbiani di mare. Abbiamo incontrato lungo il fiume persone curiose, ciclisti sulle piste degli alti argini di pianura, imponenti terrapieni, ma anche un pastore di pecore che ci ha fornito le informazioni utili per una nostra sosta, e dandoci la sensazione di essere tornati indietro nel tempo, ad una vita tranquilla gestita con i tempi naturali dell’uomo e non con la frenesia delle macchine, dei nostri giorni, delle nostre città.

Un pastore e il suo gregge, in una calma irreale davanti al fiume, anche lui con i suoi tempi nel viaggio verso il mare.

 La seconda notte in provincia di Rovigo – a Boara Pisani - ci ha fatto capire, carte geografiche alla mano, che la nostra velocità era aumentata rispetto ai pronostici, grazie alla corrente superiore alla media stagionale.

 Ogni attracco era seguito da sguardi curiosi, auto che rallentavano, persone che ci facevano domande urlandocele da una sponda all’altra, consigli e auguri. Ne siamo usciti più ricchi e sicuri, con la voglia di ripeterla e di farla provare ad amici e conoscenti.

Un’esperienza positiva che all’attività sportiva ha unito la conoscenza del fiume – e delle sue insidie nascoste come qualche mulinello che a sorpresa all’ingresso o all’uscita da un ponte sperava di prenderci alla sprovvista e di disarcionarci.

Ma noi sempre vigili abbiamo messo a frutto l’esperienza e siamo arrrivati asciutti in laguna.

 Una nota merita il canal Bianco che poco prima dell’estuario abbiamo seguito per i suoi dieci chilometri attraversando il Brenta e poi fino a Chioggia. Una scorciatoia utile ma purtroppo per i canoisti lenta e sempre uguale. L’unico punto che ci ha fatto sentire la stanchezza. Il sentire la meta vicina e la monotonia del rettilineo privo di corrente hanno messo in crisi la compattezza delle coppie, ma un pronto rimescolamento delle carte ha risolto il problema.

 Ed eccoci in mezzo a navi di varie dimensioni, trascinate da rimorchiatori nei canali difficilmente riconoscibili in laguna e scavati per far circolare questi dinosauri del mare. Anche qualche colosso arrugginito lasciato a ricordo di una manovra errata e utile, come si usa oggi, a ripopolamento ittico o a monito per chi seguirà i percorsi sbagliati

Un ultimo attraversamento del canale che davanti a Chioggia in direzione Pellestrina nasconde alla nostra vista il Mose, e il viaggio, almeno per la sua componente nautica, è terminato. Adesso due giorni di relax nell’oasi della LIPU di Cà Roman con visita alle costruzioni belliche tedesche rovinate dalla salsedine ma ancora imponenti e soprattutto alla vegetazione da foresta equatoriale, che si sta riprendendo anche i rari sentieri per dimostrare la forza di una natura che riesce a nascondere gli errori degli uomini e ad affondare le radici anche nel cemento.

Dopo tutto, il tempo lo abbiamo inventato noi e la natura segue i suoi ritmi incessantemente. Sta a noi capirlo ed evitare di infliggere colpi troppo duri o di non ritorno ad un mondo anche troppo sfruttato. Grazie ragazzi per questa lezione di vita e a te Renzo per aver dimostrato che si può essere vecchi dentro anche se la carta d’identità segna poche decine di anni, come si può essere ottimisti e pieni di voglia di vivere alle tue quasi ottanta primavere.


Mauro Favazza